Come riconoscere il Diabete. Sintomi, cura e conseguenze sulla salute

17 Feb, 2020 | Notizie

COS’È IL DIABETE

Il diabete è una malattia cronica in cui si ha un aumento della glicemia, ovvero dei livelli di zucchero nel sangue, che l’organismo non è in grado di riportare alla normalità.

Questa condizione può dipendere da una ridotta produzione di insulina, l’ormone prodotto dal pancreas per utilizzare gli zuccheri e gli altri componenti del cibo e trasformarli in energia, oppure dalla ridotta capacità dell’organismo di utilizzare l’insulina che produce.

Livelli elevati di glucosio nel sangue, se non corretti con una terapia adeguata, possono nel tempo favorire la comparsa delle complicanze croniche della malattia, ovvero, come danni a reni, retina, nervi periferici e sistema cardiovascolare (cuore e arterie). È possibile convivere con il diabete, ma è fondamentale conoscere cosa fa aumentare o diminuire la glicemia in modo da mantenerla il più possibile vicino ai livelli normali ed evitare o ritardare la comparsa e la progressione delle complicanze croniche che purtroppo peggiorano la qualità della vita.

 

COME SI RICONOSCE IL DIABETE

Le persone con diabete non diagnosticato spesso hanno uno o più di questi sintomi:

  • sete intensa con la necessità di bere di frequente;
  • necessità di urinare frequentemente o di alzarsi di notte per urinare;
  • perdita di peso
  • aumento dell’appetito
  • disturbi della visione (difficoltà a mettere a fuoco gli oggetti, visione sfuocata)
  • difficile guarigione di piccole ferite soprattutto agli arti inferiori
  • senso di affaticamento inusuale

 

In alcuni casi, non ci sono sintomi evidenti perché la glicemia aumenta in modo lento e graduale. Questo accade soprattutto nel diabete di tipo 2 e fa sì che una persona possa vivere per mesi o anni senza sapere di essere diabetico e quindi senza curarsi adeguatamente.

 

CHI SI AMMALA DI DIABETE

Il diabete è una malattia comune che interessa in Italia il 3-5% della popolazione generale. In alcuni paesi del nord Europa o nel nord America può arrivare a interessare persino il 6-8% della popolazione. La cosa preoccupante è che i casi di diabete sono in costante aumento, probabilmente per l’aumento dell’obesità e della sedentarietà delle popolazioni.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’anno 2030 nel mondo ci saranno 360 milioni di persone con diabete, rispetto ai 170 milioni del 2000. Questo con importanti ripercussioni sulla vita dei pazienti e delle loro famiglie, e sui sistemi sanitari che offrono assistenza ai pazienti.

Chiunque può essere colpito dal diabete, anche se la probabilità di sviluppare questa malattia è maggiore se si ha una relazione di parentela in primo grado (genitori, figli, fratelli) con una persona diabetica.

COME SI CURA IL DIABETE

Tutti i pazienti diabetici e i loro famigliari dovrebbero avere una buona conoscenza dei diversi aspetti della malattia. Per questo sono importanti gli incontri di informazione offerti dai centri di diabetologia o dalle associazioni dei pazienti.

È molto importante che la persona con diabete sia consapevole della sua malattia, conosca bene i farmaci che eventualmente assume per la terapia del diabete e i loro principali effetti collaterali, e sia preparata a far fronte a eventuali imprevisti o a situazioni particolari come malattie occasionali, variazioni nell’orario dei pasti, viaggi o pianificazione di una gravidanza.

Un aiuto fondamentale al mantenimento di una buona glicemia viene dall’uso di strumenti per la misurazione della glicemia. Sono strumenti semplici e affidabili che consentono di misurare la glicemia su sangue capillare ottenuto dalla puntura del polpastrello delle dita, in totale autonomia e in qualunque momento della giornata.

L’indicazione ad effettuare le misurazioni della glicemia e la frequenza delle misurazioni variano caso per caso in relazione al tipo di diabete, di terapia e al grado di compenso metabolico.

Inoltre, le persone con diabete di tipo 1 o di tipo 2 dovrebbero modificare il loro stile di vita in modo da avere una alimentazione sana e praticare una regolare attività fisica.

In generale si raccomanda ai pazienti diabetici di:

  • Seguire una dieta equilibrata e bilanciata
  • Per le persone sovrappeso od obese di perdere peso con l’aiuto del medico e della dietista
  • Fare attività fisica regolarmente perché l’esercizio fisico migliora l’azione dell’insulina e aumenta il consumo di glucosio contribuendo ad abbassare la glicemia

Nei pazienti con diabete di tipo 1 o di tipo 2, mantenere un buon controllo della glicemia, consente di prevenire o ritardare l’insorgenza e rallentare la progressione delle complicanze croniche del diabete, ovvero del danno di reni, retina, nervi periferici o il sistema cardiovascolare.

Per questo motivo è necessario effettuare con regolarità:

  • Visita specialistiche diabetologiche di controllo (indicativamente ogni 3 mesi se in terapia insulinica, 1 o 2 volte all’anno se in terapia con ipoglicemizzanti orali o con sola modifica dello stile di vita, ovvero dieta ed esercizio fisico)
  • Esami del sangue e delle urine (indicativamente ogni 3-6 mesi per gli esami relativi al controllo della glicemia, annualmente per gli esami relativi ai fattori di rischio cardiovascolare o della funzione renale)
  • Visite oculistiche per la valutazione del fondo oculare (una volta all’anno)

La frequenza delle visite verrà stabilita per ciascun paziente in base al tipo di diabete e di terapia prescritta (modificazione dello stile di vita, farmaci per via orale o insulina), al grado di controllo metabolico, alla eventuale presenza di complicanze o di altre malattie concomitanti.

La regolarità dei controlli consente di individuare le complicanze del diabete in fase molto iniziale e, quindi, di iniziare un adeguato trattamento quando è ancora possibile limitare il danno di organo.

 

IL DIABETE DI TIPO 1 E 2

Classificazione del diabete mellito

  1. Diabete mellito di tipo 1

    1. immunomediato:
      1. ad insorgenza nell’età infantile/adolescenziale;
      2. variante LADA (latent autoimmune diabetes of the adults)
    2. idiopatico

 

  1. Diabete mellito di tipo 2

    1. difetti genetici della funzione della -cellula
    2. difetti genetici dell’azione insulinica
    3. patologie del pancreas esocrino
    4. endocrinopatie
    5. forme indotte da farmaci
    6. infezioni (rosolia congenita, citomegalovirus)
    7. sindromi genetiche talora associate a diabete
    8. forme immuno-mediate non comuni
    9. Diabete gestazionale

 

COMPLICANZE DEL DIABETE

Complicanze acute:

  • Coma ipoglicemico. Classicamente si definisce ipoglicemia una condizione in cui la glicemia è < 50 mg/dl nell’adulto e 40 mg/dl nel bambino. I sintomi sono caratterizzati da attivazione adrenergica (talora inavvertiti o sfumati per concomitante neuropatia) già per valori fra 50 e 60 mg/dl e successivamente neuroglicopenia, che solitamente inizia per glicemia < 50 mg/dl. I sintomi neuroglicopenici iniziano con confusione mentale e, se la glicemia scende sotto 30 mg/dl, torpore; il coma ipoglicemico rappresenta l’espressione più grave dell’ipoglicemia e insorge solitamente per valori < 20 mg/dl.

  • Chetoacidosi. È un’acidosi metabolica provocata da un’eccessiva concentrazione ematica di corpi chetonici, prodotti in eccesso a causa di una carenza assoluta o relativa di insulina. È caratterizzata da iperglicemia ( 250 mg/dl), iperchetonemia e acidosi metabolica (pH arterioso< 7.30; HCO3-< 15 mEq/L).

 

Severità

La severità della chetoacidosi è determinata dal grado di acidosi e si differenzia in:

  • Lieve
  • Moderata
  • Grave

Nella chetoacidosi è presente l’impossibilità da parte dei tessuti periferici di utilizzare il glucosio per il normale metabolismo determina iperglicemia;

La mancata captazione di glucosio da parte delle cellule epatiche stimola la glicogenolisi, mentre l’afflusso di substrati provenienti dalla lipolisi (acidi grassi liberi) e dalla proteolisi (aminoacidi) stimola la gluconeogenesi epatica, con ulteriore aumento della concentrazione in circolo di glucosio che concorre a determinare l’iperglicemia;

  • Coma Iperosmolare. Il coma iperosmolare si verifica per lo più in pazienti di mezza età o anziani con diabete tipo 2 spesso misconosciuto. È caratterizzato da grave iperglicemia e iperosmolarità ma non chetosi. È classicamente preceduto da un periodo di intensa poliuria e polidipsia e spesso questi malati per dissetarsi bevono bevande zuccherine. In alcuni casi può essere precipitato da un ridotto apporto di liquidi in pazienti anziani soli o costretti a letto.

  • Acidosi lattica. La acidosi lattica viene distinta, secondo la classificazione di Cohen-Woods in:

    • Tipo A. Determinata da ipoperfusione, ipossia o aumentata produzione di lattato;
    • Tipo B. Determinata da gravi alterazioni metaboliche, quali errori congeniti del metabolismo, eccessiva stimolazione adrenergica o avvelenamento.

La metformina è senza dubbio uno dei farmaci più utilizzati nella terapia del diabete mellito. È una biguanide con analogie strutturali con la fenformina, ritirata dal mercato nord-americano nel 1976 per la segnalazione di parecchi casi di acidosi lattica

Nel caso della metformina, sono molto controversi i dati relativi al suo ruolo nella comparsa di acidosi lattica. Nel caso l’acidosi lattica potrebbe essere di entrambi i tipi, in funzione della condizione che la determina.

 

Complicanze croniche del diabete

Le complicanze croniche del diabete costituiscono la principale causa di morbilità e mortalità nei pazienti diabetici. Esse comprendono:

  • macroangiopatia diabetica: malattia cardiovascolare
  • complicanze micro-vascolari
  • nefropatia
  • retinopatia
  • neuropatia
  • complicanze a patogenesi mista su base vasculopatica e neuropatica
  • disfunzione erettile
  • complicanze del piede

 

Le misure di prevenzione e lo screening per la diagnosi precoce delle complicanze croniche del diabete rivestono un ruolo di assoluta e primaria importanza.

 

Fattori di rischio modificabili

  • L’ottimizzazione del compenso glicemico
  • il controllo dei principali fattori di rischio “modificabili”:
  • come l’ipertensione arteriosa,
  • le dislipidemie
  • il fumo

 

Consentono di ridurre significativamente il rischio di sviluppare le principali complicanze del diabete e di rallentarne la progressione verso gli stadi più avanzati e invalidanti.

Nel contempo, l’applicazione su vasta scala dello screening, con indagini per lo più poco costose, facilmente accessibili e da effettuare periodicamente in tutti i pazienti diabetici, permette di riconoscere precocemente le alterazioni subcliniche delle complicanze diabetiche in fase iniziale.

 

TERAPIA FARMACOLOGICA DEL DIABETE

Terapia insulinico ineittiva

L’insulina può essere somministrata tramite siringhe, dispositivi definiti “penne” (che semplificano l’uso limitando la percentuale di errore) o mediante microinfusori.

La somministrazione sottocutanea dell’insulina differisce dalla secrezione fisiologica, perché la diffusione avviene nella circolazione periferica anziché direttamente nel circolo portale, con ritardato allineamento all’omeostasi secretiva dell’ormone in risposta all’ingestione di sostanze nutritive.

Le preparazioni insuliniche sono classificate in accordo a inizio, durata d’azione e picco.

 

Insulina ad azione rapida – Insulina umana regolare (RHI)

È ottenuta per biosintesi da batteri o lieviti, con introduzione del gene della proinsulina umana con tecnica del DNA ricombinante.

Un ritardo iniziale di circa 30′ (fino a 60′) è seguito da un picco dopo 2-3 ore e dal ritorno a livelli basali entro 6-8 ore. Questo ne condiziona l’orario di somministrazione (da 30′ a 45′ prima di un pasto).

 

Analoghi dell’insulina ad azione ultrarapida

Sono molecole prodotte con la tecnica del DNA ricombinante e modificate nella loro struttura, al fine di ottenere un assorbimento il più possibile simile a quello fisiologico.

La azione è rapida (inizio tra 5′ e 15′), con un picco tra 30-90′ e durata d’azione di circa 6 ore. Possono essere somministrate da immediatamente a 15 minuti prima o anche durante il pasto, permettendo una maggior flessibilità negli schemi alimentari e una migliore “copertura” delle escursioni glicemiche post-prandiali.

Sono attualmente commercializzati tre analoghi ad azione ultrarapida:

  • Lispro: ottenuta utilizzando un ceppo non patogeno di Escherichia Coli; si distingue dall’insulina umana per inversione di due aminoacidi nella catena (Lisina-Pralina). Può essere utilizzata nel diabete gestazionale.
  • Aspart: ottenuta dalla sostituzione della Pralina con l’Acido Aspartico nella catena dell’insulina umana. Riduce il rischio di ipoglicemie notturne nelle donne in gravidanza.
  • Glulisina: ottenuta dalla sostituzione della Lisina con l’Acido Glutammico della catena dell’insulina umana, che ne accelera la frammentazione in monomeri dopo l’iniezione, e dell’Asparagina al posto della Lisina che permette la stabilizzazione dei monomeri.

 

Insulina ad azione intermedia

Insulina protaminata (NPH) inizio d’azione tra 2-4 ore, con picco tra le 4-10 ore e durata variabile tra le 10-16 ore. Attualmente l’uso è stato soppiantato dagli analoghi a lunga durata d’azione.

 

Analoghi dell’insulina a lunga durata d’azione

Presentano una struttura che permette un lento e costante rilascio nel tempo, riproducendo la fisiologica secrezione insulinica basale rispetto ai precedenti preparati di insulina umana, con un buon controllo glicemico negli intervalli tra i pasti e durante la notte.

  • Glargine: è stata la prima formulazione di analogo ad azione protratta utilizzata nell’uomo. La sostituzione dell’Asparagina nella catena a con la Glicina e l’aggiunta di due residui di Arginina nella catena. Si realizza un profilo farmacocinetico e farmacodinamico costante nelle 24 ore, con inizio d’azione dopo 1 ora ma senza picco.
  • Detemir: ottenuta da un ceppo di lievito geneticamente modificato di Saccharomyces Cerevisiae. La durata d’azione è minore rispetto all’insulina Glargine (circa 17 ore) e necessita di due somministrazioni giornaliere.
  • Insulina lispro con protamina (Humalog Basal Kwikpen): deriva dalla cristallizzazione di Lispro con protamina, che ne ritarda l’inizio di azione (tra 1 e 4 ore) con un picco a circa 6 ore e durata d’azione di circa 18 ore.

 

Insuline bifasiche premiscelate

Sono formulazioni precostituite da due tipi di insulina in percentuali fisse (analogo rapido e analogo rapido con protamina che garantisce un’azione intermedia).

Altri anti-diabetici

  • lpoglicemizzante appartenente alla classe delle biguanidi, la metformina è l’agente farmacologico preferenziale in monoterapia nel diabete mellito di tipo 2, quando non sono sufficienti al controllo glicemico variazioni dello stile vita, nell’alimentazione e nell’attività fisica, e la riduzione del peso corporeo.
  • Le sulfaniluree sono gli ipoglicemizzanti orali da più tempo utilizzati nel trattamento del diabete. Hanno azione prevalentemente secretagoga, cioè stimolante la secrezione insulinica pancreatica. Le sulfaniluree si distinguono classicamente in farmaci di prima generazione ormai obsoleti (es tolbutamide, clorpropamide) e di seconda generazione (glipizide, glibenclamide, gliclazide, glimepiride, gliquidone).
  • Le glinidi sono ipoglicemizzanti orali secretagoghi, distinti dalle sulfaniluree. Alla classe appartengono repaglinide (derivato dell’acido benzoico) e nateglinide (derivato della fenilalanina), ma in Italia è in commercio solo la prima. Sebbene presentino struttura chimica differente rispetto alle sulfaniluree, anch’esse svolgono attività secretagoga.
  • I tiazolidinedioni (anche denominati glitazoni) hanno come effetto principale il miglioramento dell’azione dell’insulina. Il meccanismo d’azione si esplica agendo su lncretino-simili
  • Agonisti GLP-1. Gli agonisti del GLP-1 sono una classe di farmaci, di recente introduzione, appartenenti alla classe delle incretine, sistema caratterizzato dall’azione, fondamentalmente, di due ormoni intestinali: il GIP (Glucose-dependent lnsulinotropic Polypeptide) e il GLP-1 (Glucagon Like Peptide – 1). Questo sistema è responsabile del 70% della secrezione insulinica post-prandiale, rivestendo un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi glucidica.

Ad oggi sono disponibili due classi di farmaci classificabili come agonisti del GLP-1:

  • analoghi: exenatide, lixisenatide;
  • agonisti del recettore: liraglutide.

Entrambe le molecole, differentemente dagli inibitori del DPP-4, sono caratterizzate da una somministrazione per via sottocutanea (una o due volte al giorno, a seconda della molecola). Recentemente è stata approvata la commercializzazione di formulazioni long-acting (LAR) con possibilità di somministrazione settimanale.

  • Inibitori DPP-4. Gli inibitori della DDP-4 sono una classe di farmaci, di recente introduzione, appartenenti al gruppo delle incretine, sistema costituito fondamentalmente da due ormoni intestinali: il GIP (Glucose-dependent lnsulinotropic Polypeptide) e il GLP-1 (Glucagon Like Peptide – 1). Questo sistema, responsabile del 70% della secrezione insulinica post-prandiale, riveste un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi glucidica.

Alla classe degli inibitori della DPP-4 appartengono molecole che, differentemente dagli analoghi del GLP-1, sono caratterizzate dalla somministrazione orale (in mono o doppia dose giornaliera). Pur se con alcune sfumature, riguardo selettività e potenza di affinità recettoriale, tutte le molecole attualmente disponibili (sitagliptin, vildagliptin, saxagliptin, linagliptin e alogliptin) non sembrerebbero avere significative differenze nell’efficacia clinica. Un’importante differenza che potrebbe orientare le scelte terapeutiche, specie in pazienti spesso complicati come quelli affetti da DMT2, è la metabolizzazione e l’escrezione del farmaco. Queste sono:

  • prevalentemente per via renale per sitagliptin, vildagliptin, alogliptin e saxagliptin;
  • prevalentemente epatica nel linagliptin.
  • Inibitori dell’assorbimento intestinale. Gli inibitori dell’assorbimento intestinale dei carboidrati comprendono una classe di farmaci denominati inibitori dell’alfa-glucosidasi.

Questi pseudo-carboidrati (acarbosio, voglibosio e miglitol), ottenuti da processi di fermentazione di microorganismi (per acarbosio: Actinoplanes Utahensis), inibiscono competitivamente l’enzima alfa-glucosidasi presente sull’orletto a spazzola degli enterociti, che idrolizza gli oligosaccaridi non assorbibili e i polisaccaridi in monosaccaridi assorbibili. Lacarbosio viene principalmente eliminato nelle feci, in parte intatto e in parte (circa 30%) in seguito a fermentazione della flora microbiotica residente, in minima parte viene assorbito.

  • Inibitori del co-trasportatore sodio/glucosio di tipo 2. Questi farmaci (detti anche gliflozine) appartengono a una nuova classe che agisce sul co-trasportatore sodio/glucosio di tipo 2 (SGLT2), espresso soprattutto a livello renale (oltre il 90%), che causa il 90% del riassorbimento di glucosio dal filtrato renale. Attraverso il blocco del SGLT2, le gliflozine permettono che circa il 40% del glucosio filtrato venga eliminato per via renale, riducendo la glicemia.

 

TERAPIA DIETETICA DEL DIABETE

La dieta è il cardine della terapia diabetologica e da sola può determinare un calo di 1-2 punti percentuali di HbA1c. Fino al 30% dei diabetici potrebbero essere controllati con la sola dieta, che associata all’attività fisica e alla farmacoterapia li porta ad obiettivo, migliorando gli esiti clinici e metabolici con correlata riduzione dei ricoveri ospedalieri. Frequenti controlli con un dietista determinano una migliore aderenza alla dieta . Apparentemente incontri individuali sembrano essere più efficaci nei soggetti di basso livello socio-economico, mentre incontri di gruppo sono più efficaci se associati a principi di educazione per adulti, discussioni di gruppo. In gruppi di diabetici selezionati, incontri fra pari e programmi di educazione basati sul web migliorano ulteriormente le conoscenze e la gestione della malattia.

Carboidrati (CHO)

Poichè il fabbisogno del cervello si aggira intorno a 130 g/die di CHO, nessuna dieta può prevedere una dose inferiore.

Una revisione delle diete con contenuto di CHO compreso fra il 4% e il 45% ha evidenziato un miglioramento dei livelli di HbA1c e trigliceridi, ma non del colesterolo totale, LDL e HDL. Inoltre, le diete con bassissimo contenuto di carboidrati non assicurerebbero un sufficiente apporto di fibre, vitamine e minerali, mentre incrementerebbero l’apporto di proteine e grassi, che possono avere effetti dannosi rispettivamente sui reni e sugli esiti cardiovascolari.

Oggi si tende a collocare il fabbisogno di CHO nella dieta al 50-60%, con un apporto ottimale del 55%. Fra i carboidrati si dovrebbero privilegiare quelli complessi e con basso indice glicemico (legumi, pasta e pane, meglio se integrali, frutti delle aree temperate). Per indice glicemico si intendono i livelli di glicemia raggiunti dopo aver assunto un alimento rispetto ai livelli di glicemia dopo assunzione di una pari quantità di un alimento di riferimento che oggi è il pane.

Grassi

Il contenuto di grassi nella dieta non dovrebbe superare il 30% delle calorie totali e di questi non più del 7% dovrebbero essere grassi saturi (grassi animali), fino al 20% grassi mono-insaturi (oli vegetali); i grassi poli-insaturi (in particolare gli omega dell’olio di pesce) vanno inclusi nella dieta per la loro azione sul miglioramento del profilo cardiovascolare.

I grassi sono una sorgente di corpi chetonici e il loro eccesso è causa predominante di obesità e quindi di resistenza insulinica. Alcuni tipi di lipidi sono corresponsabili della vasculopatia diabetica.

Proteine

Attualmente la dose consigliata nella popolazione generale è di 1-1.5 g/kg/die, corrispondente ad un fabbisogno del 15-20% della dieta. Non sembra che queste quantità e proporzioni vadano modificate nel diabetico. Nei pazienti con insufficienza renale cronica l’apporto di proteine andrebbe ridotto a 0.8 g/kg/die (27-29). Come sorgente di proteine andrebbero privilegiate le proteine vegetali, le carni bianche e il pesce.

Nei pazienti anziani potrebbe essere prevista un’integrazione proteica, sempre tenendo d’occhio la funzionalità renale.

Fibre

L’apporto di fibre solubili nella dieta ha evidenziato un netto miglioramento del profilo glicemico nei pazienti in tutte le fasce di età. In tutti i regimi dietetici è raccomandato un apporto medio di 40 g/die di fibre. Le fibre contenute nei cereali integrali o aggiunte mediante integratori riducono il picco glicemico, rallentando l’assorbimento dei glucidi e dei lipidi.

Alcool

Non sono previste differenze nelle raccomandazioni rispetto alla popolazione generale: si raccomanda l’assunzione massima di 2 dosi/die di alcolici (vino) nella donna e 3 nell’uomo (1 dose = 10 g di alcool). L’alcool può mascherare i sintomi dell’ipoglicemia, riduce la produzione epatica di glucosio e incrementa i chetoni. Le dosi consigliate di alcool sono associate a una moderata riduzione del rischio cardiovascolare e assunte ai pasti non modificano il rischio di iper o ipoglicemia. Il consumo di vino rosso (ma non di vino bianco) sembra avere effetti benefici sullo stress ossidativo e sull’infiammazione associata all’infarto miocardico nel diabetico e avrebbe effetti protettivi sul rene.

Vitamine e sali minerali

Se si segue una dieta corretta, non sono raccomandati supplementi di vitamine e sali minerali. Sono raccomandate integrazione con vitamina D nei pazienti > 50 anni e con acido folico nelle donne che desiderino una gravidanza. Può essere necessaria integrazione in casi particolari: squilibri nell’alimentazione, pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica.

Zuccheri semplici

È considerata accettabile l’aggiunta di saccarosio fino ad un massimo del 10% dell’introito energetico giornaliero, mentre una quantità superiore incrementa i livelli glicemici e i trigliceridi. Il fruttosio ha un andamento sovrapponibile a quello del saccarosio per quantità ed effetti: ai medesimi dosaggi del saccarosio ha un leggero effetto di riduzione dei livelli di HbA1c, a dosi superiori incrementa i trigliceridi e contribuisce all’incremento ponderale. Il fruttosio contenuto nella frutta e nei vegetali avrebbe un effetto migliore rispetto a quello assunto in sostituzione del saccarosio.

Messaggi chiave

  1. La dieta può ridurre dell’l-2% (11-22 mmol/mol) i livelli di HbA1c e (sola o associata ad esercizio fisico e farmaci) consente di raggiungere gli obiettivi terapeutici nella maggioranza dei diabetici.
  2. Sostituire alimenti ad alto indice glicemico con alimenti a basso indice glicemico ha un significato clinico rilevante.
  3. La dieta dovrebbe essere prescritta da un dietista esperto.
  4. Diversi regimi dietetici (in primis la dieta mediterranea) e specifici alimenti hanno dimostrato miglioramento degli effetti della dieta nel diabetico.
  5. La tipologia dei carboidrati, la quantità e la distribuzione dei pasti nella giornata aiutano nel controllo della glicemia e del peso.
  6. La dieta va adattata alle esigenze del singolo paziente.

 

LA TERAPIA FISICA NEL DIABETE

La modifica dello stile di vita, in particolare l’implementazione dell’attività fisica moderata, è fondamentale nella prevenzione e cura del diabete mellito; eppure, di recente il DAWN Project Italia, patrocinato da Ministero della Salute, IDF e Diabete Italia, attraverso un’indagine demoscopica ha evidenziato che l’attività fisica è lo strumento terapeutico meno utilizzato per la prevenzione e la terapia del diabete mellito di tipo 2 dalle realtà assistenziali diabetologiche italiane.

Il dispendio energetico totale giornaliero umano è dato anche dalla termogenesi dovuta ad attività non associabile all’esercizio fisico (acronimo anglosassone NEAT); NEAT rappresenta il dispendio energetico di tutte le attività fisiche diverse da quelle volontarie e programmate, p.e. camminare, muoversi, parlare, agitarsi, fare piccoli lavori, ecc. In pratica è il dispendio energetico legato a tutti i movimenti ordinari e quotidiani che sono eseguiti abitualmente; è intuitivo che sarebbe intanto da favorire un comportamento che dia la preferenza, nelle attività quotidiane, all’uso dei propri muscoli rinunciando all’uso di macchine.

Per “attività fisica” si intende il movimento corporeo dato dalla contrazione di muscoli scheletrici, che richiede una spesa energetica in eccesso rispetto alla spesa energetica a riposo, mentre è “esercizio fisico” il movimento corporeo programmato, strutturato e ripetuto, eseguito per migliorare o mantenere una o più componenti in buona forma fisica.

Per “esercizio aerobico” si intende l’esecuzione di movimenti ritmici, ripetuti e continui degli stessi grandi gruppi muscolari per almeno 10 minuti ciascuno (p.e. camminare, andare in bicicletta, corsa lenta, nuoto, esercizi aerobici acquatici e molti sport); infine per “esercizio contro resistenza” si intende un’attività che utilizzi la forza muscolare per muovere un peso o lavorare contro un carico che offre resistenza.

Per migliorare il controllo glicemico, mantenere ottimale il peso corporeo e ridurre il rischio di malattia cardiovascolare sono consigliati almeno 150 minuti/settimana di attività fisica aerobica moderata (50-70% della frequenza cardiaca max) e/o almeno 90 minuti/settimana di esercizio fisico intenso (> 70% della frequenza cardiaca max). Lattività fisica deve essere distribuita in almeno 3 giorni/settimana, evitando più di 2 giorni consecutivi senza attività. Tutte le persone con diabete mellito di tipo 2 dovrebbero praticare una regolare attività fisica, prevalentemente aerobica, con un dispendio energetico di 200-300 kcal/die. L’attività fisica aerobica consente uno sforzo costante ma non eccessivo, con meno rischi di ipoglicemia; quanto più prolungata è l’attività fisica, tanto più accentuata può essere la diminuzione della glicemia; di contro, il rischio di ipoglicemia diminuisce più l’attività è aerobica e migliore è l’allenamento. Un diabetico di tipo 2 che pratica un’attività fisica di media intensità, 2-3 volte/settimana non necessita, specie se in sovrappeso, di variare il suo piano dietetico; sfrutta un ottimo strumento terapeutico per ridurre l’insulina-resistenza (per una modifica del rapporto massa grassa-massa magra), consentendo talvolta persino di diminuire il dosaggio dei farmaci ipoglicemizzanti. Inoltre, la costante pratica dell’attività fisica favorisce modifiche comportamentali, che permettono altre correzioni dello stile di vita (p.e. sospensione del fumo di sigaretta, maggiore aderenza dietetica); il tutto si traduce in una riduzione del rischio cardiovascolare globale.

Non è raccomandato l’utilizzo del test da sforzo in soggetti asintomatici a basso rischio di coronaropatia, intenzionati a intraprendere un programma di attività fisica.

In particolare, per la persona con diabete mellito di tipo 1 è necessario evitare l’attività fisica in corso di chetasi o di iperglicemia marcata, conoscere le procedure per trattare possibili ipoglicemie intercorrenti o tardive post-esercizio fisico per mancato adeguamento dell’insulina o, di contro, iperglicemie paradosse.

In considerazione del maggior dispendio energetico talora anche legato al lavoro anaerobico (trattandosi di giovani) spesso a elevata performance fisica, è importante sapere che l’attività fisica determina un’incrementata captazione del glucosio a livello muscolare, che necessita di opportune integrazioni di carboidrati di circa 30-60 g/h.

Se il compenso glico-metabolico non fosse ottimale, le aggiunte alimentari sarebbero inutili, in quanto i supplementi glucidici verrebbero persi sotto forma di glicosuria.

Una consapevole attività fisica moderata si può effettuare anche in presenza di eventuali iniziali complicanze diabete-correlate, per mantenere un’accettabile qualità di vita, evitando, però, di sovraccaricare o addirittura di danneggiare l’organo sede delle complicanze stesse.

Infine, l’abitudine a svolgere attività fisica, specie nei giovani insulina-dipendenti di maggior livello culturale, aumenta il senso di benessere e di sicurezza, riduce i livelli di ansia e di depressione, accresce la fiducia in sé stessi (autostima) e la sensazione di “potenza” nei confronti del diabete.

Si ringrazia l’Associazione Medici Endocrinologi (AME) Italiana per il prezioso contributo scientifico (Endowiki)

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